
I disturbi alimentari sono caratterizzati da una alterazione dei comportamenti alimentari, un’eccessiva preoccupazione per il peso correlata alle forma del corpo, o un eccessivo investimento sul cibo, che diventa un elemento ingerito in forma compensativa: un tentativo consolatorio davanti alla mancanza affettiva e alle frustrazioni che il soggetto non riesce a trattare diversamente.
Tipicamente il DSM V definisce l‘anoressia nervosa un evitamento del cibo per cause psicologiche e non organiche, al fine di mantenere un peso corporeo ideale per il soggetto, ma non riconosciuto normale dalla medicina, associato ad una costante preoccupazione di prendere peso e alla negazione della gravità del sottopeso , che può portare i soggetti femminili all’amenorrea e in generale ad un indebolimento del corpo, fino alla sua morte.
Un sintomo associato all’anoressia nervosa è la bulimia che compare come un raptus nel soggetto che non sempre riesce a mantenere il controllo rispetto al proprio digiuno; in questi casi il soggetto dopo le abbuffate, sentendosi in colpa o comunque spinto dal terrore di ingrassare, si induce il vomito. Questo comportamento, oltre ad essere un’alterazione palese rispetto alle consuete abitudini alimentari, causa diversi disturbi, dalla corrosione dei denti e dell’esofago da parte dei succhi gastrici, fino a squilibri elettrolitici che portano aritmie cardiache e morte.
Il Binge-eating o disturbo della alimentazione incontrollata, è caratterizzato da abbuffate senza limiti, che non hanno nulla a che vedere con il piacere del mangiare e del convivio. Le abbuffate si svolgono in momenti in cui il soggetto è solo per l’imbarazzo che gli suscita l’essere visto dall’altro divorare velocemente ingenti quantità di cibo, e lasciano nella persona una sensazione di eccessiva pienezza. Questo tipo di disturbo alimentare ha come conseguenza un ingente aumento di peso, fino all’obesità.
TRATTAMENTO
Lavorando nei centri per la cura dei disturbi alimentari dell’ABA, ho appreso che esistono diversi piani di intervento. Da un lato esiste la rieducazione alimentare che consiste nel diario alimentare e ai pasti controllati in gruppo dei centri di cura pubblici e ospedalieri, che tentano di trattare il sintomo nel contingente in un tentativo di riparazione che tampona la questione lì per lì.
Come clinica ho constatato che questo genere di intervento non basta, la cura vera e propria ha bisogno di una motivazione profonda che spinga il soggetto a comprendere la radice della questione e ad interrogarsi sul perché abbia bisogno dell’oggetto-cibo nei momenti di sconforto affettivo o smarrimento personale davanti alle questioni di vita, affinché il sintomo non diventi una stampella constante, ogni qual volta il soggetto si trovi in difficoltà. In questo senso il cibo assolve ad una funzione compensatoria molto simile a qualunque altra sostanza che causi una dipendenza sia immaginaria che fisica nella persona che la assume.